Laura Poli

La musica nel castello del cielo

La musica nel castello del cielo

« Sono cresciuto sotto lo sguardo del Cantor. Il celebre ritratto di Bach dipinto da Haussmann era stato consegnato ai miei genitori affinché lo tenessero al sicuro per la durata della guerra, e con orgoglio fu collocato sul pianerottolo al primo piano del vecchio mulino nel Dorset dove sono nato. Ogni notte, andando a letto, ho provato a evitarne lo sguardo severo »

John
Gardiner fin da giovanissimo ha eseguito e studiato l'opera di Bach e oggi è uno dei suoi più rinomati interpreti.
I frutti della sua lunga esperienza come direttore, si distillano in questo libro per farci comprendere e apprezzare non solo alcune delle più importanti composizioni bachiane, ma anche tutto quanto è possibile oggi sapere sull'uomo che le scrisse.


« Dobbiamo sfatare una volta per tutte l'idea che Bach sia stato, nella sua vita personale e professionale, una sorta di pietra di paragone, il “quinto evangelista” dei suoi compatrioti ottocenteschi, l'incarnazione vivente dell'intensa fede religiosa e della “presenza reale” che la sua musica sembrava trasmettere.

Riconoscendone la fragilità e le imperfezioni, molto meno antipatiche di quelle di Mozart o di Wagner, non solo Bach diventa più interessante come persona rispetto al vecchio esempio della leggenda, ma ci permette anche di vedere la sua umanità filtrare attraverso la musica, la quale a sua volta è molto più coinvolgente quando comprendiamo che è stata composta da qualcuno che, come tutti gli esseri umani, ha sperimentato il dolore, la rabbia e il dubbio in prima persona.
E questa è una delle caratteristiche ricorrenti che conferiscono autorità supr



dalla  Prefazione


Il musicista Bach è un genio imperscrutabile.

L’uomo Bach è fin troppo imperfetto, disperatamente normale e sotto molti aspetti ancora invisibile ai nostri occhi.
Ecco perché ci sembra di sapere molto poco della sua vita rispetto a quella di tutti i grandi compositori vissuti negli ultimi quattrocento anni. Ad esempio, a differenza di Monteverdi Bach non ha lasciato una corrispondenza privata con i familiari, e oltre all’aneddotica corrente poco è arrivato fino a noi in grado di aiutarci a disegnarne un ritratto più preciso, o a dare uno sguardo al Bach figlio, amante, marito e padre.

Forse aveva una certa riluttanza a sollevare il sipario e rivelare la sua personalità; contrariamente a molti suoi contemporanei, rifiutò, quando se ne presentò la possibilità, di scrivere il racconto della sua vita e della sua carriera. La versione limitata e assai rimaneggiata che è giunta sino a noi fu da Bach stesso affidata ai figli. Non sorprende più di tanto, dunque, che qualcuno possa aver concluso che l’uomo Bach fosse piuttosto noioso.

L’idea che, dietro questa apparente dissociazione tra l’uomo e la sua musica, si nasconda una personalità ben più interessante ha sollecitato i suoi biografi sin dall’inizio, con risultati, però, inconcludenti.

Ma abbiamo davvero bisogno di conoscere meglio l’uomo per capirne e apprezzarne la musica ?
Alcuni direbbero di no.
Pochi, tuttavia, si accontentano di seguire il secco suggerimento di Albert Einstein:
« Cosa dovrei dire riguardo al lavoro di una vita di Bach ? Ascoltalo, suonalo, amalo, adoralo – e stai zitto ! »

Al contrario, in molti di noi alberga la naturale curiosità di dare un volto all’uomo nascosto dietro una musica capace di afferrarci e non mollarci più. Vogliamo assolutamente sapere che genere di essere umano fu in grado di scrivere musiche così complesse da lasciarci totalmente disorientati, e in altri momenti così irresistibilmente ritmate da spingerci ad alzarci e ballare, e in altri ancora cosí dense di profondissime emozioni da avvicinarci all’essenza stessa del nostro essere. La statura del Bach compositore è sconcertante e, sotto molti punti di vista, non è comparabile ai normali risultati dell’attività umana, cosicché tendiamo a deificarlo o considerarlo un superuomo. In pochi resistono alla tentazione di toccare l’orlo della veste di un genio, e noi, da musicisti, vogliamo gridarlo ai quattro venti.
Eppure, com’è possibile rilevare dalla Cronologia (infra, p. 607), i fatti incontrovertibili a supporto di una visione così idealizzata del Bach uomo sono deplorevolmente pochi. In aggiunta a questi, come uniche indicazioni dei suoi modelli di pensiero e dei suoi sentimenti di individuo e padre di famiglia, dobbiamo accontentarci di una manciata di lettere, perlopiù goffe e noiose. In esse, spesso in maniera sciatta e opaca, Bach si dilunga in rapporti dettagliati- sul funzionamento degli organi da chiesa e in lusinghieri giudizi sui suoi allievi. Non mancano una infinita serie di lagnanze, indirizzate alle autorità municipali, sulle sue condizioni di lavoro, e lamentele sui compensi ricevuti. Ci sono anche seccate autogiustificazioni, dediche adulatorie a personaggi principeschi, sempre, almeno così sembra, con un occhio alla grande occasione da cogliere. Percepiamo atteggiamenti radicati, ma raramente un cuore che batte. Anche le schermaglie e gli scontri polemici furono condotti per interposta persona. Non c’è traccia di scambio o di confronto con i suoi colleghi, sebbene la Cronologia (infra, p. 607) ci dica che di tanto in tanto Bach l’abbia fatto, e c’è poco che possa illuminarci sul suo metodo di composizione, o l’atteggiamento nei confronti del lavoro o, più in generale, della vita*. La risposta tipica a chi gli chiedeva come fosse riuscito a raggiungere un tale magistero nell’arte della musica era secca e poco illuminante: «Sono stato costretto a lavorare; chiunque lavorerà quanto me, arriverà dove sono arrivato io», come riporta il suo primo biografo, Johann Nikolaus Forkel
Data la scarsità di materiali, i biografi, da Forkel (1802), Carl Hermann Bitter (1865) e Philipp Spitta (1873) in poi hanno dovuto basarsi sul Nekrolog, il necrologio scritto in fretta e furia nel 1754 dal secondo figlio, C.P.E. Bach, e dal suo allievo Johann Friedrich Agricola, sulle testimonianze di altri figli, allievi e contemporanei, e sulla rete di aneddoti, su alcuni dei quali lo stesso Bach potrebbe aver ricamato. Anche così, il disegno che emerge è perlopiù bidimensionale e formale: quello di un musicista a suo dire autodidatta, di un uomo che assolve i propri obblighi con distaccata rettitudine, di qualcuno completamente immerso nella sua musica. Ogni tanto, quando i suoi occhi si sollevano dalla pagina, abbiamo piccoli scatti di collera – la fugace apparizione di un artista distratto dalla stupidità e dalla piccolezza mentale dei suoi impiegati e costretto a vivere, secondo le sue stesse parole, «tra continue vessazioni, invidia e persecuzione»
Ciò ha dato la stura alle congetture: molti, tra i biografi successivi, provarono infatti a colmare le profondissime lacune delle fonti che avevano spremuto fino all’ultima goccia, con speculazioni e inferenze. In questo esatto momento la mitologia prende il sopravvento: Bach teutone esemplare, artigiano-eroe della classe operaia, quinto evangelista, intellettuale del calibro di Isaac Newton. Ci sembra di dover combattere non soltanto la tendenza ottocentesca all’idolatria, ma anche contro le tendenze particolarmente resistenti del Novecento a dare interpretazioni ideologiche, politicamente connotate.
Nasce allora il sospetto, assai assillante, che molti studiosi, intimiditi e abbagliati da Bach, ancora tacitamente presuppongano una correlazione diretta tra il suo immenso genio e la sua dimensione umana. Nella migliore delle ipotesi, ciò potrebbe renderli particolarmente tolleranti rispetto ai suoi difetti, che sono sotto gli occhi di tutti: una certa irascibilità, spirito di contraddizione, presunzione, timidezza nell’affrontare sfide intellettuali, e un atteggiamento servile nei confronti di reali e di rappresentanti dell’autorità in generale, che mescola la diffidenza con il desiderio di guadagnare. Perché, però, dovremmo presumere che la grande musica emani da un essere umano eccezionale? La musica può ispirarci, innalzarci, ma non ha bisogno di essere la manifestazione di una personalità ispiratrice (che però deve essere ispirata). In alcuni casi, una tale corrispondenza può manifestarsi, ma non siamo obbligati a presumere che sia sempre così. È molto probabile che «il narratore può essere ben più scialbo o meno attraente rispetto alla narrazione»
Che la musica di Bach sia stata concepita e organizzata con la brillantezza di una grande mente non ci fornisce, direttamente, nessun indizio sulla sua personalità. Infatti, la conoscenza dell’una può portare a una comprensione imprecisa dell’altra.


* In un discorso tenuto in occasione del bicentenario della morte di Bach, Paul Hindemith fa riferimento alla reticenza del nostro autore a parlare del suo lavoro – diversamente da Beethoven o Wagner, dei quali conosciamo l’atteggiamento verso molte delle proprie creazioni.
Come ha detto giustamente Hindemith:
« Avere sempre davanti agli occhi questa statua  [ la banale figura di un uomo in redingote con una parrucca che non toglie mai]  ha alterato la nostra visione della vera statura di Bach, sia dell’uomo sia del suo lavoro »

(Paul HindemitH, J. S. Bach. Ein verpflichtendes Erbe. Festrede am 12 September 1950 auf dem Bachfest in Hamburg, Insel, Frankfurt a. M. 1953, pp. 6-7)




La musica nel castello del cielo
Un ritratto di Johann Sebastian Bach

di John Eliot Gardiner
traduzione di Luca Lamberti

Saggi
Einaudi
2015 x 
pp 672 
€ 38,00

ISBN  9788806204556
880 grammi